Automobile difettosa: quando è possibile chiederne la sostituzione?

La sostituzione di un’autovettura viziata può avvenire solo nel caso in cui l’entità del danno sia tale da rendere antieconomica la riparazione del veicolo.

Il consumatore che acquisti un qualunque bene di consumo, intendendosi con tale termine qualsiasi cosa mobile venduta da qualsivoglia persona fisica o giuridica pubblica o privata nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, il quale si riveli essere viziato o comunque difforme dal bene oggetto del contratto, beneficia automaticamente di una serie di garanzie previste dalla legge, finalizzate esclusivamente a tutelare la posizione del consumatore deluso.

In particolare, l’art. 130 del D. Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) prevede che “il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9”.

Dall’analisi del dettato normativo emerge con chiarezza come il consumatore abbia a propria disposizione vari rimedi, tutti idonei a porre nel nulla gli effetti di una compravendita svantaggiosa: in primo luogo, il compratore può chiedere la riparazione del bene a spese del venditore; in secondo luogo, è possibile che il bene viziato venga integralmente sostituito con una cosa di identica qualità e tipo, ma priva di vizi; in terzo luogo, il compratore può chiedere che il prezzo della compravendita venga proporzionalmente ridotto in base all’incidenza del vizio riscontrato e, nei casi in cui l’acquirente non abbia alcun interesse a tenere il bene viziato, chiedere la risoluzione del contratto di compravendita, restituendo la cosa viziata e obbligando il venditore alla ripetizione del prezzo pagato.

Esaminando più nel dettaglio l’ipotesi della sostituzione del bene viziato, appare opportuno ricordare che si tratta di un rimedio esperibile solo in presenza di determinati presupposti fattuali.

Infatti, il Codice del Consumo prevede espressamente che la sostituzione possa essere richiesta solo nel caso in cui non sia eccessivamente onerosa per il venditore.

La valutazione di eccessiva onerosità imposta dal Legislatore deve essere operata tenendo conto di tre distinti elementi, delineati dal Codice del Consumo stesso: a) il valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) l’entità del difetto di conformità; c) l’eventualità che il criterio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.

Ciò significa, in altri termini, che il rimedio della sostituzione deve ritenersi escluso in tutti i casi in cui le spese che si renderebbero necessarie per soddisfare la richiesta in tal senso formulata dal consumatore risultassero irragionevoli, e cioè sproporzionatamente elevate, se poste a confronto con i costi implicati dal rimedio della riparazione.

Tale principio è stato di recente espresso anche dalla Corte d’Appello di Napoli, che ha rigettato la richiesta di sostituzione di un’autovettura che presentava un difetto congenito al cambio sulla base della sproporzione tra il costo delle riparazioni necessarie (pari ad euro 4.148,00), rispetto al valore dell’automobile, commisurato al prezzo di acquisto (pari ad euro 31.450,00).

In tale ipotesi, al compratore risulterebbe quindi precluso il rimedio della sostituzione del bene viziato.

Licenziato a causa del sinistro stradale? Il guidatore deve corrispondere tutte le retribuzione perdute

Le conseguenze negative di un incidente stradale possono riverberarsi su molteplici aspetti della vita quotidiana dei soggetti danneggiati.

Infatti, è ben possibile che la vittima di un sinistro causato da un’auto in transito, a causa della gravità delle lesioni riportate, subisca un licenziamento legittimo per superamento del periodo di comporto, intendendosi con tale termine quell’arco temporale durante il quale il dipendente in malattia ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro.

Infatti, superato il periodo di comporto, anche per causa non imputabile al lavoratore, il datore di lavoro potrebbe legittimamente licenziare il proprio dipendente senza incorrere in alcun tipo di conseguenza negativa.

Appare dunque ragionevole chiedersi a quale forma di tutela possa avere accesso il lavoratore licenziato a causa del protrarsi dell’infermità generata dall’incidente stradale, considerato che, nell’ipotesi in cui il sinistro non si fosse verificato, avrebbe senz’altro potuto conservare il proprio posto di lavoro.

Al medesimo interrogativo ha fornito esaustiva risposta la Corte di Cassazione, che, con la recente sentenza n. 28071/20, ha chiaramente identificato la misura del risarcimento spettante alla vittima del sinistro stradale nel caso in cui la perdita dei redditi da lavoro sia conseguenza immediata e diretta dell’incidente.

In particolare, laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danneggiante è tenuto a corrispondere una somma pari a tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che il danneggiato avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale.

In tal caso, nell’interpretazione fornita dalla Cassazione, il risarcimento non può essere parametrato alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate; deve bensì avere ad oggetto la totalità delle somme che sarebbero state corrisposte al lavoratore a titolo retributivo e contributivo.

L’unico limite alla responsabilità del danneggiante è costituito dall’ipotesi in cui questi riesca a dimostrare che il danneggiato abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che, pur potendo farlo, non lo abbia fatto per sua colpa. Al verificarsi di tale ultima circostanza, il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione.

LA TUTELA DELL’IMMAGINE, tra Legge sul diritto d’Autore e Privacy, come non commettere passi falsi

Qual è l’oggetto della tutela?

Quando parliamo di diritto all’immagine, dobbiamo innanzitutto individuare l’oggetto della tutela:

  • ad essere tutelato è infatti il diritto della persona che la propria immagine non venga divulgata, esposta o comunque pubblicata senza il suo consenso e fuori dai casi previsti dalla legge: “il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa” (art 96 Legge sul Diritto d’Autore).

Per il mero scatto della fotografia non è necessario il consenso della persona ritratta.

È necessario se, invece, si vuole divulgare lo scatto (su social network, su carta stampata, su siti internet, per finalità promozionali).

Tali argomentazioni valgono anche per i clic video, insomma, per qualsiasi supporto che contenga il bene tutelato: l’immagine.

Il consenso andrà richiesto alla persona della quale si vuole diffondere l’immagine, mediante l’espressione di un assenso conosciuto con il termine “liberatoria”.

Liberatoria non è un termine giuridico (non è infatti menzionato nella normativa che disciplina il diritto d’autore) ma viene utilizzato per identificare il contratto di uso / utilizzo della propria immagine.

In generale, il protagonista dello scatto o della clip video “rilascia la liberatoria” ovvero conferisce a colui che ha eseguito la fotografia o la registrazione la possibilità di utilizzare, nelle modalità convenute tra le parti, la propria immagine.

La liberatoria non deve avere forma scritta ai fini della validità. È necessario però che chi ha la necessità di ottenerla sia in grado di provarne l’esistenza per difendersi da eventuali obiezioni:

  • uno stratagemma sarà, ad es., la registrazione di un breve assenso prima di iniziare una ripresa video;
  • un’altra modalità potrà essere, in caso di organizzazione di un evento per cui non é prevista alcuna modalità di iscrizione, l’invitare i partecipanti, all’entrata della sala, a dare lettura di un’informativa. Essa dovrà specificare che varcando la soglia il soggetto esprimerà implicitamente il consenso ad essere ritratto ed all’utilizzo delle immagini e videoriprese.

La liberatoria è necessaria per ogni soggetto la cui immagine viene “catturata”?

No. Essa è necessaria in tutti i casi in cui la persona è oggettivamente riconoscibile.

È molto importante questa distinzione. Esempi di soggetto riconoscibile sono, oltre al classico ritratto al volto, gli scatti di un tatuaggio o di una cicatrice che risulta visibile solo in una persona.

In tutti i casi in cui il soggetto non possa essere ritenuto riconoscibile da chi veda l’immagine, lo stesso non può, sulla stessa, vantarne diritti che ne limitino la diffusione.

Ci sono delle eccezioni?

La Legge sul Diritto d’Autore prevede delle eccezioni al diritto della persona a che la propria immagine non venga divulgata, esposta o comunque pubblicata senza il suo consenso: le immagini che riguardano eventi svoltisi in pubblico, gli eventi di interesse pubblico, la notorietà della persona ritratta.

Nel caso di “eventi di interesse pubblico” il diritto all’immagine della persona ritratta viene a cedere il passo al diritto, ritenuto predominante, all’informazione e alla cronaca. Bisogna tuttavia considerare che un evento non ha un interesse pubblico per sempre: il diritto all’informazione può venire meno trascorso un certo periodo di tempo. Il diritto di utilizzare il ritratto senza consenso è limitato temporalmente a tale durata, finché cioè c’è ancora interesse a parlarne e a divulgarlo.

Tale eccezione non può essere stabilita a priori ma è necessario valutare il singolo caso concreto.

Ad esempio, una conferenza organizzata dall’Ordine degli Avvocati su una novità normativa potrà avere un interesse pubblico. Lo stesso sarà però molto limitato nel tempo e peraltro limitato alla cerchia di professionisti del settore.

La normativa privacy

Essendo l’immagine di una persona identificabile un dato personale, il conseguente trattamento (come la diffusione) deve rispettare anche tale normativa.

Per questo è importante fornire, nel richiedere la liberatoria, un’Informativa privacy idonea: le sue principali caratteristiche saranno la chiarezza e la completezza nella descrizione delle attività che chi la fornisce effettuerà sul dato personale (nel nostro caso, l’immagine).

Le sanzioni

L’articolo 10 del codice civile disciplina l’abuso dell’immagine altrui: impone il risarcimento dei danni e la cessazione dell’abuso da parte di colui che espone o pubblica l’immagine:

  • fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione sono consentite dalla legge
  • o con pregiudizio al decoro e alla reputazione della persona stessa o dei congiunti.

Ai fini del risarcimento di tipo patrimoniale, riveste ruolo fondamentale la notorietà del soggetto. La persona deve, infatti, essere in grado di trarre vantaggi di tipo patrimoniale dall’utilizzo della propria immagine, comportando l’uso non autorizzato da parte di terzi un danno qualificabile come lucro cessante (prezzo del consenso e prezzo dell’immagine).

Ciò non sta a significare che la diffusione non autorizzata a fini commerciali dell’immagine di persona non nota possa ritenersi lecita, ma rileva soltanto ai fini di una quantificazione della somma risarcibile. In caso di diffusione non autorizzata dell’immagine di persona non nota, il soggetto danneggiato avrà in ogni caso diritto di adire l’autorità giudiziaria:

  • per l’accertamento dell’illiceità del comportamento del terzo;
  • per ottenere la cessazione della diffusione dell’immagine;
  • per il risarcimento del danno esistenziale e del danno morale qualora l’illecito commesso integri anche gli estremi di un reato.

Restano salve le quantificazioni del danno eventualmente valutabili dall’Autorità Garante per la privacy per l’ulteriore elemento del trattamento illecito di dati personali.