Videosorveglianza senza accordo sindacale: La Corte di Cassazione è tornata a confermare l’orientamento secondo cui il consenso del lavoratore non esime dalla responsabilità penale

Telecamere sul luogo di lavoro, sono vietate? Se da una parte è vero che deve essere tutelata la privacy dei dipendenti, dall’altro c’è l’esigenza del datore di lavoro di vigilare sul patrimonio aziendale, anche riprendendo l’attività lavorativa.

Lo Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970) all’articolo 4 vieta esplicitamente l’utilizzo di impianti audiovisivi adibiti al controllo dei dipendenti. Divieto richiamato anche dalla successiva normativa sulla privacy.

Esistono però dei casi in il datore di lavoro può legittimamente installare un sistema di videosorveglianza senza incorrere in sanzioni.

Lo Statuto dei Lavoratori, all’articolo 4, stabilisce che le telecamere negli ambienti di lavoro possano essere installate per:

  • particolari esigenze produttive o organizzative;
  • assicurare la sicurezza dei dipendenti;
  • tutelare il patrimonio aziendale.

Le Società che ricadono nell’ambito di applicazione e che per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro, o di tutela del patrimonio aziendale, intendono installare apparecchiature dalle quali può derivare un controllo a distanza dei lavoratori, possono dunque procedere in tal senso:

  • accordo sindacale con le RSU aziendali, ove presenti;
  • istanza all’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio (ITL).

Ma in mancanza di tali condizioni, il consenso (anche dato per iscritto) dei singoli lavoratori ripresi è sufficiente?

In una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, di inizio 2020, la Corte ribadisce un orientamento già espresso in passato: “… il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, …), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice.” “… a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe (infatti, ndr) al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.”

Procedimento di applicazione della sanzione

E se non si rispettano le regole?

Gli Ispettori del Ministero del lavoro, una volta verificata l’installazione di impianti audiovisivi in assenza di un preventivo accordo con le organizzazioni sindacali o dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro, deve impartire una prescrizione alla Società inadempiente. Nel verbale ispettivo dovrà essere fissato un termine per la rimozione degli impianti illegittimamente installati. Per limitare l’applicazione della sanzione penale, la Società potrà, nel frattempo, siglare l’accordo o richiedere l’autorizzazione.

Sanzioni in caso di violazione

In caso di violazione al disposto legislativo, viene prevista una sanzione penale (ammenda) che va da 154,00 a 1.549,00 euro ovvero l’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 della legge n. 300/1970), salvo che il fatto non costituisca reato più grave.

Qualora nel periodo di tempo fissato dall’organo di vigilanza per lo smontaggio delle apparecchiature, venga siglato l’accordo sindacale ovvero venga rilasciata l’autorizzazione della competente Direzione territoriale del lavoro, venendo meno i presupposti oggettivi dell’illecito, l’ispettore potrà ammettere “il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di 30 giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilità per la contravvenzione commessa” (art. 21 d.lgs. n. 758/1994).