Coronavirus e inadempimento contrattuale: i rimedi.

In tempi di estrema incertezza nella vita privata a farla da padrone deve essere una corretta gestione degli impegni economici che ognuno di noi ha assunto.

Molti di noi si saranno trovati a far fronte ad una impossibilità o comunque ad una estrema difficoltà di adempimento delle obbligazioni commerciali già assunte, all’interno del territorio italiano.

Questo diventa maggiormente attuale laddove, in questi giorni, sono stati assunti numerosi provvedimenti normativi d’emergenza (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) che limitano l’attività economica nel nostro Paese e nei quali, pertanto, l’epidemia sembrerebbe avere effetti sospensivi se non addirittura estintivi delle obbligazioni assunte.

Entrando nel merito

In via preliminare si deve evidenziare che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., la mancata esecuzione di una prestazione costituisce “inadempimento contrattuale” tutte le volte in cui per l’obbligato la prestazione sia soggettivamente possibile: cioè in tutti i casi in cui con l’impegno di diligenza e di cooperazione richiesto, secondo il tipo di rapporto obbligatorio, potrei comunque procedere all’adempimento. La difficoltà nell’adempimento non impedisce la prestazione, con conseguente liberazione del debitore, ma costituisce soltanto un ostacolo che il debitore è tenuto a superare con la dovuta diligenza.

Perciò il debitore deve provare che l’inadempimento è stato determinato da “causa a sé non imputabile” o di forza maggiore, la quale è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell’impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, bensì solamente da quei fattori che “da un canto, non siano riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di adempiere e, d’altro canto, siano tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo” (cfr Cass. Civ., Sent. n. 15712 del 08/11/2002).

Possono i decreti emergenziali emanati dal governo giustificare l’inadempimento?

L’ordinamento italiano non prevede espressamente una definizione di “forza maggiore”; solo il Codice del Turismo all’art. 41 co. 4 tratta così il caso: “In caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione, il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto, senza corrispondere spese di recesso, ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare”.

Il codice civile, tratta la materia rispettivamente agli artt. 1256 e 1467.

L’art. 1256 c.c. prevede il caso in cui via una impossibilità sopravvenuta che generi un ritardo o una totale impossibilità nella esecuzione della prestazione.

Qualora ricorra tale situazione, il debitore non sarà responsabile dei danni che controparte possa subire per effetto del ritardo nell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., finché perduri la situazione di impossibilità.

Nel caso in cui l’impossibilità diventi definitiva, o comunque duri fino a quando l’interesse che la prestazione venga in concreto realizzata venga meno (ad esempio, le merci che avrebbero dovuto essere consegnate non siano più utili), l’obbligazione si estingue, con conseguente scioglimento del vincolo contrattuale (artt. 1256 e 1463 c.c.).

L’art. 1467 c.c., previsto nei casi di contratti a prestazioni continuate o periodiche, ossia differite, prevede il caso in cui a causa di eventi straordinari e imprevedibili la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa.

In questo caso, come vedremo, la parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa potrà chiedere la risoluzione del contratto.

Quali cause possiamo invocare?

1) Impossibilità sopravvenuta definitiva o temporanea di cui all’art. 1256 c.c.

Sotto il profilo giuridico i recenti provvedimenti emergenziali del Governo (DPCM) possono incidere sulla capacità di eseguire le prestazioni contrattuali, determinando l’impossibilità sopravvenuta di adempiere, ai sensi dell’art. 1256 c.c.

Ciò avviene in quanto rientrano nella fattispecie del c.d. “factum principis”. Quest’ultima rappresenta una ipotesi di “causa non imputabile al debitore” o forza maggiore che ricorre quando determinati provvedimenti legislativi o amministrativi, emanati dopo la conclusione del contratto per interessi generali (come la tutela della salute pubblica), rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione della prestazione, in modo temporaneo o definitivo, indipendentemente dalla volontà dei soggetti obbligati.

Secondo giurisprudenza consolidata, gli ordini o i divieti emanati dalle autorità sono suscettibili di determinare l’impossibilità della prestazione qualora:

  • gli stessi siano del tutto estranei alla volontà dell’obbligato (Cass. Civ., n. 21973 del 19/10/2007);
  • non siano ragionevolmente prevedibili, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione ( Civ., Sent. n. 2059 del 23/02/2000);
  • il debitore abbia sperimentato tutte le ragionevoli possibilità per adempiere regolarmente (Cass. Civ., Sent. n. 14915 del 8/06/2018; Cass. Civ., Sent. n. 11914 del 10/06/2016).

Occorre, dunque, valutare se la durata delle misure restrittive adottate per limitare la diffusione del Coronavirus sia tale da estinguere l’obbligazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1256 c.c., fermo restando che il debitore sarà tenuto ad eseguire la prestazione nel momento in cui la causa dell’impossibilità dovesse cessare – indipendentemente da un suo diverso interesse economico – sempre che la stessa sia ancora utile a controparte.

2) Eccessiva onerosità della prestazione

Diverso è, invece, il caso in cui la situazione emergenziale e i relativi divieti governativi rendano una prestazione contrattuale non impossibile, ma eccessivamente onerosa.

Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti a esecuzione continuata o periodica, se la prestazione di una delle parti è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguire tale prestazione può chiedere la risoluzione del contratto (salvo che tale eccessiva onerosità non rientri nel normale rischio cui è soggetta la prestazione).

Contrariamente a quanto previsto per l’impossibilità sopravvenuta, l’eccessiva onerosità non costituisce causa di estinzione di diritto dell’obbligazione, ma conferisce al debitore la facoltà di chiedere al giudice la risoluzione del contratto. La richiesta potrà avere come conseguenza la risposta, che è nel potere dell’altra parte, di non risolvere il contratto richiedendo una “riduzione” dello stesso per riportare in equilibrio le due prestazioni.

Il criterio di straordinarietà e imprevedibilità dell’avvenimento che legittima la richiesta di risoluzione del contratto è oggetto di attenta valutazione della giurisprudenza, che ha definito straordinario l’avvenimento che non si ripete con frequenza e con regolarità nel tempo, e imprevedibile l’evento che ragionevolmente non si prevede e di cui non si conoscono gli effetti. L’evento straordinario presenta quindi le caratteristiche di straordinarietà a seguito di una valutazione oggettiva che:

  • sia dovuta ad avvenimenti straordinari ed imprevedibili (e sotto questo profilo i provvedimenti governativi per l’emergenza sanitaria rientrano in tale ipotesi);
  • imponga all’obbligato un sacrificio economico che eccede il normale rischio del contratto.

Sotto quest’ultimo profilo, occorre dunque valutare, caso per caso, se l’evento straordinario e imprevedibile costituito dall’emergenza sanitaria e i conseguenti provvedimenti restrittivi determinino un aggravio patrimoniale per il soggetto obbligato tale da alterare l’originario rapporto contrattuale, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione.

In conclusione

Il soggetto la cui attività abbia in qualche modo risentito dei provvedimenti normativi disposti a tutela dell’emergenza sanitaria del Coronavirus dovrà, per prima cosa, verificare se siano o meno presenti, nel relativo contratto, specifiche disposizioni che prevedano ipotesi di “cause non imputabili al debitore” (o di forza maggiore) o di eccessiva onerosità sopravvenuta ed eventuali conseguenze giuridiche.

Successivamente si dovrà passare alla determinazione, in concreto, degli effetti derivanti dall’impossibilità temporanea o definitiva della prestazione o dal sopravvenuto disequilibrio contrattuale, per procedere secondo quanto determinato dalla disciplina civilistica.